Una storia basata sui buoni sentimenti da riproporre nel ciclo natalizio, e che per qualche oscura ragione viene esclusa dai palinsesti delle maggiori reti televisive: si tratta del cortometraggio d’animazione “L’asinello”, prodotto dalla Walt Disney nel lontano 1978, quasi sconosciuto alle generazioni attuali, ma il cui ricordo, fortunatamente, rimane ancora vivo in coloro che hanno potuto ammirarne la genuinità.
Ma che cosa rende questo cortometraggio di soli 26 minuti, così speciale? Sarà meglio procedere con ordine…
“L’asinello”, venne prodotto da quella immensa “macchina dei sogni” che è la Walt Disney Productions, come progetto per la sua nuova generazione di animatori, ed è basato sull’omonimo romanzo per bambini a tema natalizio dello statunitense Charles Tazewell (2 giugno 1900 – 26 giugno 1972) attore, drammaturgo radiofonico, nonché autore di libri per bambini, il cui lavoro è stato adattato più volte per il cinema.
Con il titolo originale di “The small one”, il corto venne distribuito negli U.S.A. il 16 dicembre 1978, abbinato a una riedizione di Pinocchio.
La regia de “L’asinello” venne affidata ad un illustre sconosciuto (naturalmente all’epoca) di nome Donald Virgil Bluth (El Paso, 13 settembre 1937), meglio noto al pubblico come Don Bluth, animatore e produttore cinematografico statunitense, che diede vita sul grande schermo a capolavori indimenticabili come il lungometraggio d’animazione “Brisby ed il segreto di NIMH” (1982) e il videogioco “Dragon’s Lair”, che tutti gli appassionati gamer al mondo conoscono sicuramente.
Dopo le dovute presentazioni che rappresentano ottime referenze per la qualità del cortometraggio, passiamo alla sinossi de “L’asinello”, per spiegare cosa lo rende un’opera davvero speciale.
Sinossi de “L’asinello”
Il cortometraggio è ambientato nella Palestina occupata dall’esercito romano, in un periodo che precede di pochissimo la nascita del Cristo.
Un bambino, il cui nome non viene mai rivelato, vive con il proprio padre, dedito all’attività di boscaiolo, in una capanna poco lontano da Nazareth.
Ad aiutare il boscaiolo ed il figlio nel loro duro lavoro sono 4 asini. Il bambino, di circa 8 anni, è molto affezionato all’asino più anziano, chiamato affettuosamente “Piccolo” (da cui deriva il titolo originale del film “the small one”).
Piccolo, ritenuto dal bambino il suo migliore amico, data l’età è gracile, e non ha più la forza necessaria per facilitare il duro lavoro del boscaiolo, e nonostante non ne abbia alcuna colpa costituisce un costo esorbitante, per via del suo mantenimento.
Sia pur a malincuore, dato che il figlio è molto affezionato all’animale, il boscaiolo, non potendo più sostenere le spese necessarie al cibo per l’asino anziano, è costretto a venderlo.
Dopo un iniziale rifiuto alla decisione del padre, il bambino, anche se rattristato, si offre di portare Piccolo personalmente al mercato, così da assicurarsi di trovargli un nuovo padrone che si prenda adeguatamente cura di lui.
Recatosi a Nazareth con il suo amico a quattro zampe, il bambino viene fermato da un soldato romano di guardia alle porte della città, e alle sue domande risponde dicendogli che intende vendere il proprio asino.
Il bambino viene indirizzato a sua insaputa dalla guardia romana (in vena di “scherzi di cattivo gusto”) verso la bottega di un conciatore.
Non appena il bambino si rende conto dell’attività dell’uomo a cui viene consigliato di rivolgersi, e delle sue intenzioni di ricavare una pelle dal suo asino, scappa terrorizzato assieme a Piccolo.
Dopo essersi imbattuti in un vasaio, e in un pasticciere, che rifiutano l’acquisto perché Piccolo non sarebbe abbastanza forte per lavorare, tre mercanti disonesti indirizzano il bambino verso un banditore d’asta per cavalli.
Quest’ultimo, vedendo la magrezza di Piccolo, inizia a prendersi gioco di lui e del suo padrone di fronte alla folla divertita, fino a che l’asino non reagisce disarcionando l’arrogante banditore.
Il ragazzino e l’asino fuggono via e, perduta ogni speranza, si siedono all’angolo di una strada, piangendo disperatamente.
In quel momento un uomo si avvicina al bambino, chiedendogli di vendergli Piccolo.
Quell’uomo sconosciuto che parlava con voce pacata e gentile aveva la necessità di andare a Betlemme, assieme alla moglie incinta.
L’uomo promette al bambino che tratterà bene il suo asinello. Il ragazzo allora gli vende Piccolo, e così per l’ultima volta saluta il suo fedele amico.
Mentre il ragazzino guarda Piccolo allontanarsi, decide di salire sulle mura per dare un’ultima occhiata all’asinello, in quel preciso istante scorge nel cielo una stella luminosa.
Provando una strana, ma piacevole sensazione, il bambino sente, in cuor suo, che quella stella rappresenta un buon presagio, e capisce che il suo amico ha trovato la persona giusta, rincuorato da quel messaggio di speranza, torna con l’animo sereno da suo padre.
Un capolavoro che rischia di essere dimenticato
Penso che non occorra aggiungere altro per spiegare il motivo che rende quest’opera un capolavoro, a parte alcune considerazioni personali: innanzitutto è doveroso un chiarimento sull’assoluta mancanza, a scanso di equivoci di un tentativo d’indottrinamento religioso, dato che con la religione il corto non c’entra assolutamente nulla.
L’opera di Don Bluth, infatti, è una storia piuttosto semplice, anche se molto efficace dal punto di vista narrativo, una storia che parla d’amicizia, quella vera, sincera, e poco importa se si tratta di un legame d’affetto che prova un bambino verso il proprio animale: il sentimento d’amicizia che li lega è molto forte, e il ritmo che scandisce la narrazione in poco meno di mezzora rende abbastanza fondata quest’affermazione.
Un altro particolare che conferisce al corto, la caratteristica di opera di pregevole fattura, è la firma prestigiosa di quel genio di Don Bluth, che con una buona dose di coraggio, e di intraprendenza decise di lasciare presto il suo incarico alla Walt Disney, per fondare una propria casa di produzione.
Bluth riteneva (e in maniera molto fondata) che la “macchina dei sogni”, dopo la morte di Walt Disney, avesse perso il desiderio di rischiare, e di sperimentare, e di non lasciare quindi spazio alla creatività.
Ma senza addentrarci in polemiche inconcludenti, proseguiamo con un’altra considerazione sul corto “L’asinello”: una storia molto lontana dai soliti cliché a tema natalizio, intrisi di personaggi con le fattezze del solito Santa Claus, che assume il ruolo di icona del Natale, o delle vecchie glorie dei film targati anni ‘80, onnipresenti ad ogni vigilia, che si danno appuntamento fisso in Tv, fra cui spicca l’indimenticabile “Una poltrona per due”.
Sia ben chiaro che non intendo certamente scatenare una “guerriglia sui social”, incentrata sulla difesa a spada tratta dei propri gusti televisivi, ma a pensarci bene, a lungo andare, è inevitabile che la riproposizione reiterata di opere cinematografiche, pur trattandosi di capolavori, alla fine….stanca, e parecchio anche.
A questo punto entra in gioco la “pressione del tasto che emette una nota sgradevole”, perché viene da chiedersi (almeno per quelli della mia generazione): “come mai per anni alla Tv non fanno altro che mandare in onda sempre la stessa ‘roba vecchia’, quando ci sono capolavori bellissimi da vedere?”.
Nessuna critica alle varie emittenti nazionali e locali, fine a se stessa, e ci mancherebbe, ma alla fine si corrono due rischi: il primo è costatare il rifiuto di vedere per l’ennesima volta i soliti film (anche se ripeto si tratta di opere dalla qualità indiscutibile), per non soffrire la noia; il secondo rischio, forse più grave, è quello di relegare nell’oblio altri capolavori altrettanto belli, e di dimenticarli per sempre.
Un’ulteriore considerazione che penso valga la pena di spendere su “L’asinello” riguarda la storia in se: un racconto parallelo ad un altro, in cui si inserisce come un tassello su un mosaico, una sorta di “sotto-trama” con personaggi che nella storia principale sarebbero dei semplici comprimari, ma che nel “pezzo di storia” che interessa a noi, invece diventano protagonisti a pieno titolo.
Un espediente narrativo molto efficace senza dubbio, perché rende molto l’idea che in fondo, ognuno di noi può essere protagonista di una storia felice (nel caso del corto), anche se vissuta all’ombra del protagonista di un’altra storia parallela.
L’ultima considerazione sul cortometraggio “L’asinello” riguarda un messaggio celato, che emerge sin dai primi minuti della visione: in un mondo difficile, i cui ritmi sono scanditi da un periodo difficile, i bambini devono maturare più in fretta, accettando il fatto di diventare più consapevoli, se si vogliono allenare a vivere una futura vita da adulti.
Questo concetto il bambino che non voleva separarsi, all’inizio, dal proprio amico, sia pur a malincuore dovette alla fine accettarlo.
Ma l’accettazione di responsabilità, tuttavia, non lo fece desistere da rivolgere un ultimo sguardo al suo amico, per poi assistere alla visione di una stella alta nel cielo, considerata come un messaggio di speranza.
Un pensiero genuino, semplice, infantile se preferite. Ma in un mondo difficile, governato da crisi economiche, guerre, pandemia, in cui scorgere la speranza appare come un’impresa ardua da compiere, se non addirittura impossibile, forse a pensarci bene, non è affatto male, conservare il senso d’umanità nascosto in un bambino innocente.
Nicola Scardina
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