Prosegue con questo editoriale la trattazione di Ipazia, scienziata e filosofa greca vissuta nel 400 d.C.
Ipazia aderì alla scuola filosofica neoplatonica, anche se secondo le fonti storiche lo fece in modo originale ed eclettico, e non si convertì mai al cristianesimo; una legittima e libera scelta che le fu fatale, come verrà spiegato più avanti.
La causa della morte di Ipazia si colloca nel contesto storico di una città in cui coesistevano in modo brutale culture diverse per usi e tradizioni.
Nell’epoca in cui visse Ipazia, Alessandria era la capitale della provincia romana dell’Egitto, istituita nel 30 a.C. per volere dell’imperatore Augusto.
A capo della provincia era posto un prefetto scelto dall’Imperatore.
Seconda per grandezza solo alla capitale dell’impero: Roma, Alessandria per tutta l’antichità rimase un prestigioso centro culturale, culla dell’Ellenismo, grazie alle istituzioni del Mouseion, e della celebre Biblioteca.
La città ospitava, inoltre, una numerosa comunità ebraica: fu qui che la Bibbia venne tradotta in greco nella versione conosciuta come dei “Septuaginta“.
Per tutta l’epoca ellenistica la popolazione alessandrina restò suddivisa etnicamente tra Greco-Macedoni, Ebrei, ed Egiziani, con leggi e costumi differenziati.
Alessandria era in pratica una sorta di “New York” del Mediterraneo, ma la convivenza di etnie e culture così diverse tra loro, non fu mai, purtroppo pacifica, dato che fu teatro di scontri sanguinosi, soprattutto fra pagani e cristiani.
Ad alimentare l’odio fra le due comunità fu la politica scellerata dell’impero romano con i cosiddetti decreti teodosiani, emessi dall’imperatore Teodosio tra il 391 e il 392 d.C. che avevano sancito la proibizione di ogni genere di culto pagano, ed avevano equiparato il sacrificio nei templi al delitto di lesa maestà punibile con la morte.
La persecuzione dei pagani ad opera dei cristiani, ad Alessandria viene ricordata anche dalla richiesta del vescovo Teofilo all’imperatore per ottenere decreti in grado di porre fine ai culti delle religioni pre-cristiane.
Su insistenza di Teofilo l’imperatore ordinò di distruggere i templi greci di Alessandria; venne risparmiato il tempio di Dioniso, che il vescovo ottenne in dono dall’imperatore, per essere trasformato in chiesa.
Già da anni un altro storico edificio, il Cesareo, il tempio di Augusto, era stato trasformato in cattedrale cristiana, e costituiva il luogo di celebrazione più importante della comunità cristiana.
Alla morte di Teofilo nel 412, gli succedette nella carica di vescovo il nipote Cirillo, che appena salito sul trono episcopale si accinse a svolgere il suo ruolo, in modo ancora più autoritario, spingendosi molto al limite consentito dall’autorità imperiale.
La politica adottata da Cirillo, mirata ad assumersi poteri che non gli spettavano, si scontrò così con l’operato del prefetto: Oreste, che sentendosi scavalcato dal neo vescovo, intendeva difendere con forza le proprie prerogative.
La situazione iniziò a precipitare nel 414 d.C.: durante un’assemblea popolare, alcuni ebrei denunciarono al prefetto Oreste quale seminatore di discordie il maestro Ierace, un sostenitore del vescovo Cirillo.
Ierace fu arrestato e torturato, Cirillo reagì minacciando i capi della comunità ebraica, e gli ebrei reagirono a loro volta massacrando un certo numero di cristiani.
La reazione di Cirillo fu durissima: l’intera comunità ebraica fu cacciata dalla città, i loro averi furono confiscati, e le sinagoghe distrutte.
Oreste pur indignandosi per l’accaduto, e nonostante i suoi poteri in qualità di prefetto, non potè fare nulla: la costituzione del 4 febbraio del 384 d.C., infatti, sanciva che il clero non poteva essere giudicato dall’autorità imperiale, riservando tale competenza soltanto al foro ecclesiastico.
Nel pieno del conflitto giurisdizionale tra il prefetto e il vescovo, intervenne a sostegno di quest’ultimo un gran numero di monaci: i cosiddetti parabolani, che di fatto costituivano un vero e proprio corpo di polizia al servizio dei vescovi di Alessandria per mantenere nella città il loro ordine.
I parabolani, tesero un agguato a Oreste, uno di loro, Ammonio, lo colpì alla testa con una pietra.
L’attentatore dopo essere stato catturato, venne fatto torturare, e poi giustiziato per ordine di Oreste.
La reazione di Cirillo non si fece attendere: fece collocare il cadavere di Ammonio in una chiesa e, cambiatogli il nome in Thaumasios (cioè “ammirevole”), lo elevò al rango di martire, come se fosse morto per difendere la fede cristiana.
Ma tornando ad Ipazia, si può affermare, così come viene avvalorato da diverse fonti storiche, che lei venne coinvolta, suo malgrado nello scontro tra il prefetto Oreste, ed il vescovo Cirillo.

Ipazia venne prese di mira da Cirillo essenzialmente per tre motivi: la ferma decisione di Ipazia di non convertirsi al cristianesimo, la sua attività come insegnante, rivolta ad allievi di qualsiasi etnia, e religione, ma soprattutto il fatto che ella era in buoni rapporti con Oreste.
In quel periodo non era tollerato il fatto che una donna potesse liberamente insegnare agli uomini, e così ad Ipazia vennero mosse accuse di stregoneria: una mossa strategica che avrebbe consentito a Cirillo di affermare la sua autorità, dopo la condanna a morte di una pagana, e contemporaneamente un duro colpo da assestare a Oreste, sicuro del fatto che non avrebbe potuto reagire in virtù della legge che gli impediva di giudicare l’operato del vescovo.
Nel mese di marzo del 415 d.C., nel periodo di quaresima, un gruppo di monaci parabolani si appostarono per sorprendere Ipazia mentre faceva ritorno a casa.
Tiratala giù dal carro che guidava, i parabolani la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario; qui, dopo averle strappato le vesti, la uccisero usando dei cocci.
L’atrocità dei fanatici religiosi non si limitò al brutale assassinio: il cadavere della scienziata, venne fatto a pezzi, ed, infine, venne bruciato.
Dopo l’uccisione di Ipazia venne avviata un’inchiesta, che purtroppo, archiviò il caso. Secondo il filosofo bizantino Damascio i funzionari imperiali che indagavano sul caso di Ipazia vennero corrotti.
Una tesi condivisa da Socrate Scolastico, che riteneva la corte imperiale corresponsabile dell’uccisione di Ipazia, dato che non è intervenuta, malgrado le sollecitazioni del prefetto Oreste, a porre fine ai disordini precedenti l’omicidio.
Anche lo storico siriaco Giovanni Malalas, sostenne tale tesi, basandosi sul fatto che l’imperatore Teodosio II provava molta stima per il vescovo Cirillo.
Da notare che a Costantinopoli regnava di fatto Elia Pulcheria, sorella e reggente dell’imperatore Teodosio II, all’epoca minorenne, molto vicina alle posizioni assunte dal vescovo di Alessandria.
A rendere ancora più amara la triste fine di Ipazia, confermando, purtroppo, un caso di giustizia sbagliata, è la dichiarazione di Cirillo come santo della chiesa cristiana (ed anche di quella ortodossa); così come venne dichiarata santa anche Elia Pulcheria.
Ipazia: figura simbolo della libertà di pensiero
Il nome di Ipazia è tornato famoso durante l’Illuminismo, quando molti autori hanno iniziato a ricordarne la sua libertà di pensiero e l’alto livello a cui erano giunti i suoi studi.
Da allora viene ricordata come una vera e propria icona per i diritti delle donne, oltre che come una delle prime martiri del paganesimo, e in generale del fanatismo religioso.
Numerose sono state le influenze della figura di Ipazia nell’arte, e nelle iniziative culturali e scientifiche, a livello mondiale.
Ad Ipazia è dedicato il Centro Internazionale Donne e Scienza, creato nel 2004 dall’UNESCO a Torino per sostenere lo studio, la ricerca e la formazione in particolare delle donne scienziate del Mediterraneo.
La figura di Ipazia, ricordata da molti libri, è stata fonte d’ispirazione per il film “Agorà”, colossal diretto dal regista spagnolo Alejandro Amenábar, uscito nelle sale nel 2010.
La tragica fine di Ipazia è avvenuta in un mondo non ancora pronto per accettare la diversità in tutte le sue forme, non ancora maturo per potere apprezzare una varietà di idee non in linea con un pensiero unico dominante; e considerando i disordini in pieno XXI secolo nei paesi dove vige il fondamentalismo islamico, come l’Iran o l’Afghanistan, c’è da credere che i tempi di questa maturità a livello mondiale siano ancora molto lontani da raggiungere.
Ancora oggi, permangono pensieri distorti sul ruolo della donna nella società, anche se parecchio distanti dal periodo dell’espansione cristiana nell’impero romano, in cui non poteva essere accettato il fatto che una donna formulasse ipotesi sul funzionamento del cosmo intero.
La storia di Ipazia dovrebbe far riflettere sul fatto che i dogmi in generale, sia di tipo religioso sia ideologico, si sono rivelati per troppe volte nemici della libertà di pensiero, e che di fatto hanno ostacolato la sete di conoscenza del genere umano.
Se poi, come è d’altronde doveroso, si aggiunge anche che dogmi religiosi ed ideologici siano stati spesso fonte di assurde discriminazioni del genere femminile, il quadro della situazione è ancora più chiaro, e tragicamente vero.
La conoscenza della storia serve per imparare dagli errori passati, se ciò non avviene non si può certo pensare alla storia come una “cattiva maestra”, piuttosto dovremmo tutti, nessuno escluso, cominciare a pensare che forse dovremmo sforzarci di essere più bravi noi, come allievi.
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