Nella giornata di ieri, 30 gennaio, a Bagheria è stata danneggiata una targa in memoria di Pietro Busetta, ucciso in un agguato mafioso quasi 40 anni fa.
La targa era stata collocata nel giardino di piazza Vittime della mafia nei pressi di piazza Garibaldi, di fronte alla settecentesca Villa Palagonia; non è chiaro se agenti atmosferici o balordi abbiamo l’abbiano fatta cadere.
La notizia è stata resa nota dal Leo Club, e dai familiari di Pietro Busetta.
«Questo è lo scempio che capita quando si abbassa l’attenzione, quando si pensa che tutto ormai è passato» – scrive il nipote omonimo di Pietro Busetta – «Grazie al Lions Club e a tutte quelle persone oneste che lottano per riportare l’attenzione su questo tema, per riportare l’attenzione su mio nonno e per far sì che la “memoria” non vada mai persa. Oggi lo Stato e tutti gli organi d’informazione ricordano la conclusione del maxi processo: penso sia doveroso ricordare anche le vittime innocenti, mietute dalla mafia per provare a sovvertirne le sorti, invano fortunatamente».
Un’altra targa in memoria di Busetta, è caduta a causa delle cattive condizioni climatiche e dell’usura del piedistallo di legno; l’amministrazione comunale di Bagheria, ha escluso, in tal caso, l’azione di danneggiamento ad opera ignoti.
La targa che, fortunatamente, non si è rotta, stata accuratamente riposta presso gli uffici diretti dalla dirigente Laura Picciurro che si è subito adoperata per preservarla e predisporre le pratiche per la nuova ricollocazione.
Si tratta della targa installata davanti l’ex Palazzo di Giustizia di Bagheria, edificio appartenuto allo stesso Busetta, dove adesso sono ospitati gli uffici dell’Assessorato alla Solidarietà Sociale del comune.
L’amministrazione comunale bagherese, in un comuncato stampa diramato oggi, 31 gennaio, ha reso noto che interverrà immediatamente per ripristinare la corretta collocazione delle targhe ponendo maggiori elementi di protezione a sicurezza delle stesse.
Fonte: Ufficio Stampa del Comune di Bagheria.
L’assassinio di Pietro Busetta: una vendetta trasversale della mafia per la collaborazione del cognato Tommaso Buscetta
Pietro Busetta, classe 1922, era un imprenditore di Bagheria, proprietario di una piccola fabbrica di ceramiche, e di un negozio di articoli da regalo.
Venne ucciso in un agguato mafioso avvenuto nella cittadina palermitana il 7 dicembre 1984.
Il movente dell’omicidio apparve sin da subito chiaro agli inquirenti: si trattava, in modo inequivocabile di una vendetta di Cosa Nostra, per via della parentela di Pietro Busetta con il boss pentito Tommaso Buscetta; l’imprenditore bagherese aveva sposato la sorella di Buscetta, Serafina.
Tommaso Buscetta, conosciuto anche come “l’ex-boss dei due mondi”, con le sue confessioni aveva aperto un varco sugli affari, e sui misteri dei clan mafiosi di Palermo.
L’hinterland Palermitano fu teatro negli anni ‘80 del secolo scorso di una guerra di mafia, in cui diverse famiglie si scontrarono per conquistare l’egemonia della “cupola”, il massimo organo dirigente della mafia.
Tommaso Buscetta, boss di punta del gruppo mafioso che stava perdendo questo conflitto, decise di collaborare con la giustizia.
Il clan dei corleonesi tentò di convincere Buscetta ad interrompere la sua collaborazione con la magistratura, operando l’assassinio sistematico di ben 14 dei suoi parenti; una delle vittime predestinate era proprio Pietro Busetta.
Al contrario del cognato, Pietro Busetta, conduceva una vita onesta da lavoratore, molto lontana dagli affari loschi in cui era coinvolto “Don Masino”; ma dato che le deposizioni di Buscetta erano diventate molto pericolose per le famiglie mafiose palermitane, divenne suo malgrado, un bersaglio da colpire.
Pietro Busetta venne ucciso a Bagheria la sera del 7 dicembre 1984, poco prima delle 20,00, da un commando, che entrò in azione in via Roccaforte, accanto allo stadio comunale.
Appena uscito insieme alla moglie dal grande negozio di articoli da regalo di sua proprietà, Pietro Busetta venne circondato da tre sicari che dopo averlo circondato, eseguirono in modo spietato il suo assassinio, usando pistole di grosso calibro, per poi darsi alla fuga.
Per gli inquirenti, corsi immediatamente sul luogo del delitto, il quadro apparve chiaro: “vendetta trasversale”.
Il presidente della Commissione antimafia di quel periodo Abdon Alinovi aveva detto: “C’è un importante detenuto che corre seri pericoli. Abbiamo avvertito il ministro dell’Interno che non era informato della specifica questione, ma si è mostrato estremamente sensibile”.
Il riferimento era chiarissimo e riguardava i fratelli, le sorelle, i nipoti di Tommaso Buscetta. I loro nomi, secondo gli investigatori, erano stati inseriti in un elenco abbastanza lungo di familiari di pentiti da “vigilare saltuariamente”.
Per i Busetta la sorveglianza era abbastanza agevole. Abitavano tutti al numero 147 di via Roccaforte: la sorella di Tommasino, il marito e i cinque figli (di cui quattro sposati).
Per ironia della sorte una volante della polizia era passata da quel budello di strada che si allunga fino alla strada nazionale per Santa Flavia, proprio dieci minuti prima dell’agguato.
La famiglia Busetta ha vissuto per anni sotto scorta, temendo ulteriori vendette nei loro confronti.
Dopo il brutale assassinio l’azienda di famiglia è stata colpita da una forte crisi economica: quasi nessuno dei clienti, infatti, voleva avere rapporti con quella che era considerata, a torto, una famiglia mafiosa.
Allo sconforto per la perdita di un loro caro, e alla costante minaccia di subire altre ritorsioni terribili, si aggiunse anche il dispiacere per una parte di società diventata, improvvisamente ostile; la sommatoria di questi elementi non poté che ottenere un solo, triste risultato: la famiglia Busetta a Bagheria, si ritrovò a vivere in una sorta di “limbo”, una “non vita”.
Il dramma della famiglia Busetta si unì, sia pur in modo parallelo, a quello di Tommaso Buscetta, che aveva già subito un autentico massacro dei suoi congiunti.
In piena guerra di mafia nel settembre del 1982 i suoi due figli: Benedetto e Antonio scomparvero, “inghiottiti” dalla lupara bianca.
Nel dicembre successivo un commando di killer fece irruzione nella pizzeria New York Place a Palermo uccidendo Giuseppe Genova, genero del super boss siculo-brasiliano, e due suoi cugini Onofrio e Antonio D’ Amico.
Appena tre giorni dopo l’ ultima azione di sangue: dei sicari killer assassinarono il fratello di Tommaso Buscetta, Vincenzo e il nipote Benni all’interno della fabbrica di vetro nella quale lavoravano.
Tommaso Buscetta, nonostante questo massacro dei suoi cari, operato in modo tremendamente lucido e sistematico, non si fermò e consegnò ai giudici palermitani Giovanni Falcone, e Vincenzo Geraci una lunghissima confessione, andando a delineare i confini territoriali della mafia palermitana, definendone anche l’ordine di gerarchia dal ruolo di boss, ai gregari, e uomini d’ onore.
Il risultato della deposizione di Buscetta fu enorme: ben 366 mandati di cattura che consentirono a inquirenti e magistrati palermitani di far scattare il clamoroso blitz di San Michele del 29 settembre del 1984, e chiarire i misteri su quattordici anni di delitti di mafia.
In questa guerra tra stato e mafia, a farne le spese (così come accade in tutte le guerre d’altronde) sono gli innocenti, proprio come Pietro Busetta e la sua famiglia.
Una ragione in più, per non lasciarli mai soli, e fare ognuno la propria parte, nel suo piccolo per non perdere la speranza in un mondo migliore.
Nella foto in evidenza: targa commemorativa di Pietro Busetta nel giardino di piazza Vittime della mafia.
Articoli consgliati
Tregua fiscale 2023, tutto quello che occorre sapere.
ReteCivica parteciperà alla marcia antimafia Bagheria-Casteldaccia

Il Coordinamento Cittadino ReteCivica Bagheria, parteciperà alla marcia antimafia Bagheria-Casteldaccia…